Santoro, la cantina che addomestica vigneti e vende Falerno (anche) sfuso
Vigneti ultracentenari ristrutturati per un Falerno eccezionale

Se andate a Napoli per mangiare la vera pizza napoletana e in costiera amalfitana per la delizia al limone, dovrete andare nell’ager Falernus per bere il vero Falerno. Una dotta citazione che ci riconduce in uno dei cinque comuni casertani autorizzati alla sua produzione. Se lo provate nella zona di Mondragone, Falciano del Massico, Carinola, Sessa Aurunca e Cellole allora sappiate che siete nel luogo giusto.
Per parlarvi di questo vino, noi siamo tornati in noi dei nostri posti del cuore, l’azienda agricola e vitivinicola Santoro, che non ha chissà quale storia centenaria ma ha già trovato una seconda generazione per continuare la straordinaria storia di quello che è considerato da Marziale “il vino immortale”. Pasquale e Michele, rispettivamente padre e figlio, vivono alle pendici del Monte Massico e dal 2003 ammodernando vecchi vigneti di famiglia che sono ultracentenari.
Con la forza dei loro soli cinque ettari, oltre alle tre etichette di punta della cantina, i Santoro si sono fatti conoscere per il loro sfuso declinato in due tipologie, rosso e bianco, e a volte sono le etichette a fare la differenza. Questo è il caso. Se vi bendassimo davanti a un assaggio dei due rossi della cantina, ci riferiamo sempre al Falerno del Massico Primitivo DOP, scommettiamo che all’assaggio non percepirete la differenza tra la bottiglia e il cosiddetto vino da tavola.
A noi lo sfuso conquistò già anni fa e a distanza di circa tre anni, travasato nelle giusti bottiglie, ha mantenuto le premesse e le promesse di essere al palato scioglievole come la cioccolato, profumato come una confettura di ciliegie molto mature, quasi amarene sciroppate, buono da farci quasi colazione! Dopo che lo avrete assaggiato anche voi misurerete le vostre bevuto con “un prima” e “un dopo” Falerno di Santoro. Disclaimer: se non fa almeno 14,5% o ve lo vendono prima dei 24 post vendemmia, non è un Primitivo di Falerno di Pasquale e Michele! Santoro permette la vendita trascorsi due anni dalla vendemmia fatta interamente a mano su vigne vecchie 120 anni selezionando solo quelle migliori e passando alla fase di premitura e fermentazione. Segue l’affinamento in acciaio per sei mesi e un secondo passaggio in botti di rovere francese che dura un anno.
Quasi scontato dirlo: l’abbinamento ideale è con selvaggina e carne ai ferri ma fidatevi che funziona anche con castagne e noci.
L’altra referenza di sfuso racconta l’unico bianco dell’azienda, un blend 85% da Falanghina tardiva di Roccamonfina e 15% di Moscato del Massico Bianco, quasi 13,5 gradi che scendono giù come acqua. In questo caso le vigne sono più giovani, intorno ai cinquant’anni, e la vendemmia avviene tra l’ultima settimana di agosto e la prima di settembre. Anche in questo caso la raccolta avviene a mano, segue una premitura soffice e la fase di fermentazione per 8 mesi all’interno di serbatoi d’acciaio a temperature controllata. A noi piace sentirci pesche gialle e quel giallo paglierino ha sempre il suo fascino che non svanisce neanche se si scalda un po’: invece di tirare fuori il seau a Glace del servizio “buono” finitelo con un paio di brindisi!
L’appetito vien bevendo…
Concludiamo la nostra guida informandovi del fatto che La cantina Santoro è vicino all’agriturismo Masseria San Rocco, dove potete assaporare i piatti di carne, i salumi e i vini tipici locali.